Un viaggio tra realtà, intercessioni divine e laicità
Se un bellissimo angelo di Dio può sconfiggere e allontanare una vecchia rinsecchita, metafora della peste che corrompe i corpi e abbrutisce l’anima, allora è vero che la bellezza salverà il mondo. Stiamo parlando del gruppo che lo scultore fiammingo Le Court scolpì per la chiesa veneziana di S. Maria della Salute, edificata nel 1630 come ringraziamento per la fine della pestilenza che aveva devastato la penisola, in modo particolare Venezia, Milano e Napoli.
A Venezia il tema era stato affrontato già nel 1549 da (foto 6) Tintoretto che aveva raffigurato S Rocco con il capo circonfuso di una luce che rischiara l’ambiente intorno, allusione alla guarigione o almeno alla speranza portata agli appestati. Tintoretto però rappresenta un evento immaginato e si vede. La tragedia della malattia, infatti, è orchestrata con la “messa in scena” di nudi classicheggianti attorniati da fanciulle eleganti e raffinate. Nella realtà si trattava di moribondi e prostitute, le quali in quel periodo erano solite lavorare come infermiere.

San Rocco Venezia (Interno) – San Rocco risana gli appestati
Quando nel ‘600 la peste esplode nella laguna veneta, artisti come Antonio Zanchi e Pietro Negri ritornano sul tema ma con ben altri toni e pur mantenendo una certa eleganza, conferiscono drammaticità al racconto, raffigurando una umanità dolente che chiede aiuto alla Madonna.
Nel 1759 un altro veneto, Tiepolo, darà la sua versione di queste intercessioni che salvano dalla peste, con una meravigliosa Santa Tecla abbigliata come una di quelle ricche nobildonne, esponenti di un Ancien Régime ormai agli sgoccioli.
Le immagini della peste di Milano sono legate al racconto che ne fece secoli dopo Manzoni nei “Promessi Sposi” e alle incisioni di Gonin che illustrò l’edizione del 1940.
Tuttavia, i quadri dei contemporanei come Tanzio da Varallo e Giovan Battista Crespi hanno il sapore della cronaca. In queste opere non ci sono Madonne salvatrici ma, come in Tintoretto, il mediatore è un uomo: S. Carlo Borromeo. Lo stile però è diverso, in linea con i toni realistici della pittura lombarda che era stata, infatti, la scuola da cui proveniva Caravaggio.
A Napoli si distinguono pittori come Mattia Preti, Luca Giordano e Micco Spadaro. Quest’ultimo è il meno famoso ma ci ha lasciato una testimonianza dell’evento quasi da fotoreporter. Nel rappresentare piazza Mercatello ha eliminato ogni simbologia e l’epidemia, persi i toni biblici da fine dei tempi, si mostra nel suo squallore, una sofferenza immensa appena illuminata da una Madonnina troppo alta e distante.
Un idoletto che si perde in una piazza enorme, raffigurata a volo di uccello e che pullula di malati. Sono lontani i nudi eroici di Tintoretto o le altre rappresentazioni veneziane dove la prosaicità della malattia è riscattata da un linguaggio altisonante ed elegante.
Alla peste napoletana fanno riferimento anche i Teatri del Tempo, raccapriccianti statue di cera che il siciliano Gaetano Giulio Zumbo realizzò per Cosimo III a Firenze.
Proprio negli stessi anni in cui il francese Poussin dipingeva nei suoi consueti toni pacati un episodio biblico La peste di Ashdod. Il grande orrore dei Trionfi ha il suo contraltare in questo quadro classicheggiante. Finita la grande epidemia del ’600, permangono focolai episodici. E’ interessante a questo proposito il quadro Napoleone visita gli appestati di Jaffa di Jean Gros.
In quest’opera il ruolo “salvifico” è attribuito non ad una Madonna o un santo ma ad un uomo di potere. Napoleone, ancora generale, viene rappresentato mentre tocca il bubbone di un soldato malato, ricalcando in questo l’iconografia medievale dei santi taumaturghi che guarivano con il tocco delle mani. Dunque già nel 1802, data del primo bozzetto, vi è una “deificazione” di Napoleone, operazione sottile e in anticipo sui tempi rispetto a quella messa in scena da Ingres nel 1806 quando Napoleone si mostra come imperatore per diritto divino.
Dopo il ‘600 non si registrano pandemie fino alla “Spagnola” del 1916 evento illustrato non dalla pittura ma da una nuova forma arte, la fotografia.
Immagini non meno straordinarie dei quadri citati ma con una significativa differenza, è bandito ogni riferimento al sovrannaturale, l’umanità è sola e “Dio è morto” come diceva Nietzsche.
Annamaria Calabretta