Il dramma della guerra guardato con gli occhi “di un bambino”
Se potessimo guardare la realtà con gli occhi di un bambino come fosse la prima volta! Alcuni artisti lo hanno fatto e se imparassimo da loro, il mondo si spalancherebbe davanti a noi come il primo giorno della Creazione.
Agli inizi del ’900 le rivoluzioni in atto in campo artistico si erano spesso accompagnate al rifiuto della tradizione occidentale con tutti i suoi artifici, di pari passo si guardava all’arte dei popoli primitivi, priva di intellettualismi. È in questa cornice che alcuni artisti si interessano all’arte infantile in cui ritrovano un modo spontaneo e autentico di rappresentare la realtà, senza sofisticazioni.
“Tutti i bambini sono artisti. La questione è riuscire a rimanere artisti quando si cresce” diceva Picasso e questa dovrebbe essere la chiave di lettura di tante sue opere.
Un esempio? Il celeberrimo “Guernica” (1937) del quale sono state fatte letture politiche, simbologiche, oltre a raffinate analisi estetiche. Valutazioni tutte legittime ma andando in profondità, vediamo che il quadro è stato realizzato con semplicità espressiva, quasi una sorta di candore.
La barbarie del bombardamento è stata trasposta in un disegno elementare di grande forza comunicativa, poiché privo di sofisticate pratiche artistiche che impedirebbero di concentrarsi sul messaggio.
Basti osservare la lampadina elettrica dalle aguzze punte divergenti, ricorda l’esplosione delle bombe con straordinaria immediatezza visiva.
Oppure la donna che fugge, il suo corpo è innaturalmente stirato verso destra, immagine perfettamente credibile in un universo infantile, pensate alle figure che si allungano nei cartoni animati. Questo stiramento esaspera la fuga dalla casa che brucia sopra di lei, alle sue spalle, e perché non vi siano dubbi sull’incendio, appena dietro una figura alza le braccia al cielo mentre fiamme, disegnate con tratto elementare, guizzano di lato e sopra.
Roland Penrose, nella sua biografia su Picasso, ricorda che in occasione di una mostra di disegni infantili l’artista commentò: “Quando avevo la loro età sapevo disegnare come Raffaello ma mi è occorsa tutta una vita per imparare a disegnare come loro”.
Picasso, infatti, cercò sempre di andare alla essenza della forma, scavando dentro di sé per ritrovare, oltre qualunque artificio, nella sua mente di bambino una immagine elementare.
Egli aveva anche compreso la forza comunicativa della semplicità.
La vicenda della “Colomba della pace” è emblematica in questo senso.
Nel 1949 Picasso riceve l’incarico dal Partito Comunista Francese, di cui era membro, di ideare il manifesto del Congresso Mondiale dei Partigiani della Pace. L’artista non crea immagini complesse, infatti disegna semplicemente una colomba rappresentata con estremo realismo.
La scelta sorprese: si trattava di un simbolo religioso, dunque poco appropriato, inoltre molti dirigenti avrebbero preferito un’immagine legata al partito. Picasso invece supera i particolarismi e, sfrondando la colomba di riferimenti sacri, va oltre specifiche ideologie per attingere all’universale.
Successivamente ritornò su questa immagine della colomba sintetizzandola con una silhouette tracciata da una linea unica; un gioco di abilità che Picasso faceva spesso e di cui si vantava. Creò così una serie di immagini iconiche dal tratto elementare, a volte accompagnate da un viso di donna, che diventano l’emblema della pace in clima di guerra fredda e che compaiono anche in altri manifesti come nel congresso che si tenne a Mosca nel 1962.
Scomparso il naturalismo del 1949 Picasso riduce l’animale alle linee essenziali. La colomba diventa una forma pura così come la disegnerebbe un bambino e proprio per questo si imprime nella memoria.
Quando Picasso scelse la colomba forse ricordava il suo apprendistato con il padre, artista mediocre, che spesso dipingeva animali.
Il critico d’arte Gombrich cita una testimonianza di Sabartès a cui Picasso aveva raccontato che da bambino, quando il padre lo lasciava da solo a scuola, disegnava per esorcizzare la paura e che il suo soggetto preferito era un piccione impagliato che il padre utilizzava come modello. Pare che ne fosse talmente ossessionato da aver cercato piccioni tramite un’inserzione su un giornale. Non abbiamo quei disegni ma nel 1901 dipinge un quadro tenerissimo con una bimba che stringe a sé una colomba.
La conoscenza crea categorie e pregiudizi che il bambino non ha.
Ricordate l’alieno del film E.T.? Agli adulti non piaceva ma i bambini lo adoravano.
Potessimo tornare bambini per guardare il mondo con lo sguardo “puro” dell’innocenza e dell’infanzia, e così ritrovare in noi lo stupore!
Annamaria Calabretta