A volte i sogni e le fantasie si fanno realtà, come ad Hauterives in Francia vicino Lione, dove si trova questa strana costruzione naïve composta da gallerie, terrazze e grotte artificiali, che si succedono senza ordine logico.
Non un vero palazzo – manc infatti a di vani interni – ma un dedalo di ambienti che lo stesso costruttore la chiamava “rocher” cioè roccia. A idearlo, nella seconda metà dell’800, era stato Joseph Ferdinand Cheval, figlio di contadini. La vicenda ha inizi banali, infatti comincia con una pietra, quella in cui inciampò Joseph durante una passeggiata. Affascinato dalla insolita forma di quel frammento di roccia tornò più volte sul terreno trovando altre pietre simili. La sua immaginazione ne viene travolta.
Raccogliere sassi diventa l’ossessione della sua vita. Pare che al ritorno dai suoi giri per la consegna della posta tornasse con una bisaccia pesantissima perché le lettere consegnate erano sostituite dalle pietre che raccoglieva nel tragitto. Per gli abitanti del posto è solamente un tipo strambo, all’inizio, poi un pazzo ma nel ‘900 quando le Avanguardie artistiche avranno mutato i canoni estetici, il suo lavoro verrà rivalutato e lui considerato un uomo geniale.
Cheval inizia a costruire il suo “sogno” nel 1879, sacrificando ogni momento libero. Mescola le pietre con malta e cemento e pur non avendo alcuna nozione di edilizia, realizza una struttura imponente che copre un’area di 350 mq e che in alcuni punti raggiunge gli 11 m di altezza. Nella terrazza ovest ingloba l’origine di tutto: la pietra in cui era inciampato. Quando intraprende l’opera ha 43 anni e vi lavorerà per più di 30 anni, con lo slancio e l’entusiasmo di un bambino che sta costruendo un castello sulla spiaggia.
L’Ottocento sta volgendo alla fine, un nuovo secolo avanza fatto di tecnologia, velocità ed efficientismo, Cheval invece volta le spalle a tutto ciò e regredisce al mondo delle fiabe. Ma in questo tornare indietro, nel costruirsi un bozzolo in cui rinchiude la sua vita, è modernissimo. Il movimento surrealista nato negli anni ’20 riconoscerà in questa struttura un surrealismo inconsapevole.
L’edificio è composto da un insieme di pareti artificiali da cui affiorano, come se fossero auto-generati dalle pietre, le figure più disparate come Vercingetorige, il capo gallico avversario di Cesare, o animali dai significati simbolici oltre a riflessioni, motti o citazioni. Emblematico il rilievo del dromedario con la scritta “ creando questa roccia ho voluto dimostrare ciò che può la mia volontà” .
Le fonti di ispirazione sono eterogenee e mostrano una vocazione universalistica, si spazia dalla Bibbia all’antico Egitto, dai testi induisti al libro delle guerre galliche di Cesare, dal mondo greco, con la figura di Archimede al mondo musulmano. A fornirgli suggestioni pare siano state anche le cartoline provenienti da tutto il mondo, oltre ai libri illustrati che consultava e le cui immagini furono poi liberamente reinterpretate dalla sua fantasia. L’ingresso è a nord dove il visitatore si trova davanti una scenografica terrazza ma la facciata principale, quella che realizzò per prima e che gli prese 12 anni di lavoro, è la parete est, il “monumento egiziano” come lui la chiamava.
L’edificio è impossibile da classificare, è una struttura bizzarra ma di una bizzarria ingenua. Cheval non aveva formazione accademica e non frequentava ambienti artistici, aveva solo un sogno e una grande fantasia. La sua arte è fuori da ogni schema perché lui gli schemi neanche li conosce. Il palazzo in fondo, come scrisse su una delle pareti, non è altro che il “sogno di un contadino”.
Cheval avrebbe voluto esservi seppellito, poiché la roccia era la sua promessa di immortalità, la sua vendetta contro una vita banale, il riscatto delle sue umili origini contadine. Su una parete aveva scritto “Questa meraviglia di cui l’autore può essere fiero sarà unica nell’universo”. L’autorizzazione però gli viene negata così costruisce un mausoleo nel cimitero della città perché “Figlio di contadini, contadino io stesso, voglio vivere e morire per provare che anche nella mia categoria vi sono uomini che hanno genio ed energia”.
Oggi l’opera, monumento nazionale dal 1969, è una attrazione turistica e ci ricorda che i sogni quando ci crediamo possono avverarsi e che tutti in fondo siamo chiamati a grandi imprese.
Anna Maria Calabretta