Nel corso della storia alcuni artisti erano soliti tentare di superare in maestria i loro predecessori così da ottenere visibilità e prestigio. Piazza della Signoria a Firenze fu uno dei luoghi in cui si consumò una di queste sfide.
Piazza della Signoria si presenta, oggi, ai nostri occhi come uno scrigno pieno di tesori. Tra le magnificenze architettoniche spiccano particolarmente Palazzo Vecchio, con i suoi 700 anni di storia, e la Loggia della Signoria che impreziosisce la piazza da ben 600 anni. All’interno di questo splendido scenario architettonico, molte sono le sculture che si ergono maestose in tutta la loro bellezza per adornare tale spazio.
Siamo in presenza di un vero e proprio museo a cielo aperto.
La sfida consumatasi in questa piazza ha tratto le sue origini dalla presenza del David di Michelangelo, dinnanzi a Palazzo Vecchio. Esso fu posto lì nel 1504 come simbolo della Repubblica di Firenze, pronta ad ergersi in difesa dei suoi cittadini così come fece il giovane David che difese il popolo degli Israeliti dal gigante Golia. Si tratta di un’opera che lasciò decisamente il segno e “tolse il grido a tutte le statue antiche e moderne”. Sguardo deciso, muscoli contratti che mostrano le vene in rilievo, perfezione anatomica, accurata resa dei particolari: Michelangelo impiegò tutta la sua maestria per dar vita a quello che oggi è considerato uno dei suoi più grandi capolavori. Quello che possiamo ammirare dinnanzi a Palazzo Vecchio è solo una perfetta copia. L’originale, con i suoi oltre cinque metri di altezza e le sue cinque tonnellate di peso, è custodito nel complesso museale delle Gallerie dell’Accademia di Firenze, dove si erge in tutto il suo splendore. E pensare che fu creato da un blocco di marmo “rovinato” da altri scultori.
Cinquant’anni dopo il posizionamento del David, Benvenuto Cellini, artista fiorentino esperto in oreficeria di piccole dimensioni, decise che era giunto il momento di sfidare le proprie capacità ed eseguire una statua di grandi dimensioni che potesse tener testa a quella del grande Michelangelo. Tale desiderio fu accompagnato anche dalla volontà di dimostrare il proprio valore a quegli artisti, a lui contemporanei, che non lo reputavano in grado di realizzare una grande opera.
Fu così che egli realizzò, per Cosimo I de’ Medici, il Perseo in bronzo destinato ad essere posto dove ancora oggi possiamo ammirarlo: sotto la Loggia della Signoria.
Per poter raggiungere la perfezione Cellini attuò uno studio sulle tecniche di fusione del bronzo, studio che gli permise di mettere in evidenza ogni minimo dettaglio dell’opera: dalla muscolatura ai tratti fisionomici dei volti, dai capelli del giovane ai serpenti sulla testa di Medusa.
Perseo si erge fiero e trionfante sul corpo decapitato di Medusa, la cui testa viene ostentata proprio dal giovane che l’ha recisa con la propria spada. Sguardo deciso e minaccioso, muscolatura in tensione e ben resa, posa realistica: tutto ciò ha contribuito a stupire piacevolmente i fiorentini dell’epoca e da quel momento diversi artisti furono capaci di tener testa al grande Michelangelo.
Ma perché Benvenuto Cellini scelse proprio Perseo come soggetto? In realtà fu Cosimo I a commissionargli la realizzazione di questa specifica figura. Tutti i membri della famiglia de’ Medici, nel corso della storia della Repubblica fiorentina, non hanno mai lasciato nulla al caso. Si presume infatti che il giovane Perseo fosse la personificazione dello stesso Cosimo I, che sfidava chiunque osasse minacciare il proprio potere.
Allo stesso modo, molto probabilmente, Cosimo I volle riverberare simbolicamente la propria immagine nella fontana che fece costruire intorno al 1560 in Piazza della Signoria e il cui protagonista è Nettuno.
Così come il Re del mare governava le acque, Cosimo I governava la propria città.
A realizzare la fontana fu Bartolomeo Ammannati, scultore della corte Medicea, che si servì della collaborazione di altri artisti. La statua di Nettuno fu realizzata da Bartolomeo Ammannati in persona, ma tra i fiorentini non riscosse molto successo. Rispetto al David di Michelangelo, infatti, il Re del mare aveva “le carni, ed i muscoli mosci” e mancava di proporzionalità; proprio per questo fu da allora chiamato “il Biancone”, perché il colore bianco del marmo era l’unica cosa che spiccava di esso.
Rivale per eccellenza del David è però il Ratto della Sabina, realizzato intorno al 1580 da Jean de Boulogne, uno scultore fiammingo che in Italia fu chiamato Giambologna. Tre figure atletiche, muscolose e intrecciate tra loro in una spirale di corpi, sono protagoniste dell’opera. Anche Giambologna, come Cellini, non era ritenuto in grado di creare un capolavoro di tali dimensioni. Egli decise così di dimostrare di essere capace “nell’arte di far figure ignude, mostrando la vecchiezza, la gioventù e la delicatezza femminile”, di essere dunque in grado di lasciar trasparire dal freddo marmo l’età dei personaggi scolpiti.
L’opera è oggi ammirabile nella Loggia della Signoria, dove è degna di reggere il confronto con i capolavori degli altri artisti. Un vecchio spaventato, nella parte bassa del gruppo scultoreo, sembra quasi volersi riparare dal rapimento di una giovane donna che, cinta da un uomo atletico, tenta di divincolarsi.
La disperazione si legge sul volto della donna sabina, disperazione acuita da un bassorilievo posto sul basamento. Lì sono immortalati uomini romani intenti a rapire le donne sabine per consentire la nascita della città di Roma fondata da Romolo.
Mary Bua